Come posso descrivere quello che provo per Enzo Jannacci?
La mia è ammirazione per il genio assoluto, è affetto quasi familiare, è nostalgia per non poterlo più ascoltare dal vivo, è tenerezza per l’incespicare delle sue parole, per i suoi occhiali spessi, per i gesti goffi.
Nessuno come lui è stato in grado di raccontare la vita in ogni sua forma, l’ironia ed il calore, la vicinanza ed il rispetto per le persone. Il suo sguardo si posava sulle strade di Milano, di cui sapeva cogliere essenza e contorno, di cui narrava storie quotidiane, il profumo dei fili del tram, la sporcizia dei sobborghi e la boria dei cummenda.
Parlare degli ultimi, degli umili, dal barbone alla prostituta, dall’alcolizzato al drogato, la sospensione del giudizio e l’abbraccio all’umanità, senza morale né pregiudizio sono i pilastri del suo percorso artistico. Ha raccontato i nostro essere piccoli e gretti nei nostri gesti quotidiani, nella nostra indifferenza spesso inconsapevole ma non per questo meno meschina. In ogni canzone di Enzo Jannacci si trova una parte di noi, e spesso non è la parte che ci è più familiare, ma è quella della quale ci vergogniamo.
E tutto questo mantenendo una leggerezza sfrontata, mai opaca, una luminosità scanzonata e divertita, senza cedere a moralismi. Se libertà è partecipazione, come ha cantato il suo grandissimo amico Gaber, Enzo Jannacci è il simbolo della libertà. Partecipazione in ogni sua forma, stare in mezzo alla gente e compartire i sentimenti e le frustrazioni, le debolezze, le storture, la gioia di vivere.
Tornando a noi, questa sera volevo rendere omaggio a Dario Fo, che di Jannacci è stato prima di tutto un amico, con un brano che li vedesse coautori, una ballata dal sapore poetico e antico.
Forse in pochi però conoscono la storia di questa canzone: si intitola La mia morosa la va a la fonte ed è scritta a quattro mani, testo di Dario Fo e musica di Enzo Jannacci, presentata durante lo spettacolo teatrale 22 canzoni del 1965.
L’immagine che trovate in testata è un documento formidabile tratto dall’archivio di Dario Fo e Franca Rame ed è il manoscritto originale del testo di questo brano.
Forse vi ricorda qualcosa? 😉
Ebbene sì, la musica di Via del campo è proprio questa: la storia narra che un giovanissimo De André sentì questo brano e credendo che la musica fosse una canzone popolare del XV secolo la riarrangiò e la pubblicò… se foste interessati ad approfondire la questione vi invito a cercare su internet, si trova moltissimo materiale a proposito. Qui basti ricordare che Jannacci e De André chiusero la querelle in breve tempo, e che oggi la SIAE attribuisce ad entrambi la paternità del brano Via del campo, riconoscendo ad Enzo Jannacci la musica:
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